Un teatro contemporaneo con in scena sei cappelli dalle forme più diverse ispirati a quadri futuristi. Tutto intorno, quasi a comporre un boccascena elettronico di quel teatro ideale, dodici monitor con in rotazione i video che, di quei cappelli, illustrano il processo creativo, l’ispirazione, il figurino. A osservare la scena, spettatori silenziosi e attentissimi, una ventina di raffinati cappelli. Parte da qui la mostra “Velocità accelerate ovvero la prima idea che ci siamo messi in testa”, presentata da Laura Marelli nel marzo del 1986 al Centro Domus di Milano e felice dimostrazione della ricchezza dell’archivio storico che caratterizza il lavoro di Gallia e Peter. Ideata da Metamorphosi Art e con video creati da Marco Poma, l’esposizione si ispira alla libertà e al dinamismo futurista e li lascia dialogare, intercedere e intrecciarsi con gli antichi criteri della modisteria. Un connubio perfetto da cui nascono, recita l’invito inaugurale, “cappelli triangolari, quadrati, meccanici, inventati, snodati, avvitati, elastici, sottili, solari, invarigolari (cioè avvolti a spirale), cilindrici, rumoreggianti, odorosi, astratti, dinamici, trasparenti, fonici, mirabolanti, plastici, metallici, sensibili, disinvolti, instancabili, ululanti, laceranti, festanti, luccicanti, fulminanti, cangianti”.
Dal futurismo, si sa, bisogna lasciarsi travolgere. Soprattutto in un anno come il 1986, lo stesso in cui si svolge nel veneziano Palazzo Grassi la mostra “Futurismo & Futurismi” e in cui Bompiani pubblica l’omonimo catalogo che farà epoca. Come scrive in quelle settimane l’Espresso, il futurismo sta tornando in auge come mai era accaduto prima e, aggiunge Lina Sotis su X, l’inconsueto happening voluto a Milano da Laura Marelli dimostra come il cappello non sia più solo frivolezza elegante ma anche concreta, realissima, inconfutabile espressione artistica contemporanea. Il progetto di Gallia e Peter si fonda sulla tensione creativa da cui si generano esplosive miscele e vede coinvolti tantissimi (e diversissimi) professionisti. I figurini, ridisegnati sugli schizzi di Laura, sono di Cristina Biraghi, la modella è Sara Baldocchi, mentre Luisa Cevese di Agata Lunare Tessuti realizza lo studio tessile e le decorazioni. Una fucina di idee e di irruenta creatività da cui nascono cappelli che faranno la storia. Uno tra tutti: quello fotografato da Giovanni Gastel e donato nel 1987 al Metropolitan Museum di New York.
Non più solo “cappelli”, dunque, ma “cappelli-sculture”, “cappelli-opere d’arte” come il celebre Elastico per cui Laura Marelli si ispira a un quadro di grandi dimensioni del 1939. È Il ponte di Brooklyn di Joseph Stella, artista italiano emigrato a New York all'età di diciannove anni e primo rappresentante di un futurismo che racconta l’America industriale, il suo dinamismo, il suo comporre skyline mai immaginati prima, con massicci archi a sesto acuto che evocano moderne chiese gotiche. Siamo in pieno fervore americano, quello in cui le città esplodono con guglie svettanti, grattacieli appuntiti affiancati ai perentori, mastodontici tiranti dei ponti sospesi. Elastico, con la sua forte spinta propulsiva verso l'alto e le sue linee verticali che si innalzano imperiose, richiama con forza il movimento dei cavi obliqui e dei filamenti metallici, scelti da Stella nel suo dipinto come emblema del moto dinamico, del progresso e della modernità che esplode nei toni luminosi del rosso, del blu e del verde. Ma, se guarda al 1939, Elastico si protende anche verso il futuro e pare anticipare le linee scelte pochi anni dopo da Renzo Piano per il Centro culturale Jean-Marie Tjibaou a Numea, in Oceania: un edificio pubblico costruito tra il 1995 e il 1998 e destinato a promuovere la cultura kanak degli abitanti melanesiani della Nuova Caledonia. Del resto, “la prima idea che ci si mette in testa” spesso si rivela anche la più azzeccata. Supera di gran lunga i confini di una mostra e si prepara, quando gli intrecci lo permettono, a diventare leggenda.