Bellezza, Novità, Vogue, l’Europeo, Vanity Fair, Vogue Sposa…
Nel corso del Novecento, sono infinite le testate che raccontano la storia di Gallia e Peter, ne mostrano i modelli, ne tracciano il percorso, gli spunti, le creazioni. Che sia una pagina intera in cui, nel 1946 (un paio di anno dopo l’ingresso in atelier di Lia), Bellezza descrive un modello in feltro nero con bordo rialzato e guarnizione di penne di gallo applicate sul lato di una tempia, oppure che sia il pezzo con cui, nel maggio del 1972, Vogue illustra il “cappello in fiore” realizzato in paglia e abbinato a una canottiera bain de soleil, i cappelli di Gallia e Peter entrano a pieno titolo nella storia dell’editoria di moda del secolo scorso. Laura Marelli raccoglie a uno a uno gli articoli che parlano della sua azienda. Li mette insieme, li studia, li osserva. Compone il suo archivio personale con scrupolo da collezionista, con cura da esperta. Oggi, attraverso quelle pagine, si possono ripercorrere la storia della moda italiana e internazionale: il desiderio di leggerezza e la voglia di rinascita del dopoguerra, i primi istinti ribelli degli anni Sessanta con l’essenzialità ispirata a Jackie Kennedy e i look lanciati dal jet set, le falde larghe e i foulard dei figli dei fiori anni Settanta, l’eccentricità irrefrenabile degli anni Ottanta, l’incontenibile modernità della decade successiva. Ma attraverso quelle pagine emerge anche, e non sottotraccia ma a pieno titolo, una ricchissima storia di famiglia, fatta di donne che hanno creato e tenuto viva Gallia e Peter attraverso guerre, liberazioni, rinnovamenti, rivoluzioni, evoluzioni, intuizioni, cambi di rotta e conferme. Così, esplorando la collezione di Laura Marelli, ci capita di imbatterci nei figurini di moda realizzati per Bellezza negli anni Quaranta dall’illustratrice e artista sarda Edina Altara, maestra indiscussa nel raccontare il modo in cui l’arte incontra produzione industriale ed espressività popolare. Quella di Altara è la dimostrazione concreta, la dimostrazione fatta in immagini, di come un cappello in paglia di Gallia e Peter possa anticipare l’avvento della nuova, attesa stagione successiva. Andando poco più avanti, ecco in archivio l’Europeo del 22 ottobre del 1952: nelle pagine centrali si racconta della rottura filosofica tra Camus e Sartre, proprio accanto alle fotografie di alcune modelle con cuffietta nera in tulle e tamburello firmati dall’atelier. Siamo negli anni in cui Mariuccia Gallia viaggia tra Milano e Parigi e propone le sue creazioni nelle sfilate fiorentine di Palazzo Pitti, in un girotondo che unisce filosofia esistenzialista, haute couture e alto artigianato. L’appuntamento, tutti seduti a un tavolo, potrebbe essere al celebre Café Fleur oppure a Les Deux Magots per raccontare, con la stessa elegante disinvoltura, concetti metafisici e spunti di storia della moda, in un entusiasmante incontro di idee, menti e persone. Sempre negli anni Cinquanta i cappelli Gallia e Peter decorati con fiori, frutta e raffinate velette conquistano le copertine e le pagine interne di Novità, in un tripudio di freschezza e colori che ammalia e seduce le clienti dell’atelier. In una doppia pagina interna dell’agosto 1952 acconciature e copricapi dell’azienda sono accostati a una vetrina di eleganti veilleuse, lumi da notte dalla luce tenue, e a oggetti preziosi conservati a Palazzo Soma, celebre a Milano per un curioso dettaglio architettonico: il citofono a forma di orecchio realizzato da Adolfo Wildt.
Anche sul numero di Novità del novembre ‘64 campeggia in copertina un’acconciatura rosa fluorescente firmata Gallia e Peter, fermata con un gioiello antico composto di rarissimi topazi rosa e diamanti. Una cover potente, indimenticabile, azzeccatissima. Passano pochi mesi e, nell’aprile del 1965, su Vogue è lo stile inappuntabile ispirato ad Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany ad essere affiancato alle ultime creazioni di Monte Napoleone. Le clienti dell’atelier indicano con fierezza quelle pagine alle amiche durante le più rinomate feste milanesi: ne sono orgogliose, capiscono che, da tempo, ci avevano visto giusto. Solo un paio d’anni più tardi, ecco di nuovo i cappelli dell’atelier a fare da perfetto contraltare ai ricami di carta metallizzata rossi e blu che brillano su gilet jersey in lana nera e bluse di picché bianco bordate in pizzo per l’esplosione folcloristica cara al nuovo decennio. La moda cambia, Gallia e Peter la osserva, la fa propria, la reinventa. Così, poco oltre, ritroviamo i suoi cappelli in abbinamento ai look da “Gaucha” passionali e latini, perfetti per imporsi sulle pagine di Vogue international. Con assoluta nonchalance le sapienti mani delle modiste riescono a intuire e dettare i desideri di clienti che stanno cambiando il proprio gusto, che si stanno rinnovando. Con il debutto degli anni Settanta il benessere si fa via via più diffuso: su Vogue, come scopriamo dall’archivio di Laura, è un tripudio di abiti in pelle, pellicce, stile casual, istinti urbani. Tutto ispirato a una donna contemporanea sempre più sicura di sé, decisa, determinata, seducente. Negli anni entusiasmanti e irrefrenabili delle grandi passerelle, sui magazine di moda i cappelli di Gallia e Peter fanno bella mostra accanto ai brand più famosi, Prada, Ferré, Missoni, e alle acconciature “infinite” di Aldo Coppola. È l’epoca in cui la Costa Azzurra e la sua vita dorata conquistano stilisti e grandi editori: un classico senza tempo che Vogue racconta nelle sue pagine, facendo del bianco e del blu due dei colori di riferimento della stagione invernale del 1980. Le donne, come quelle di Mila Schon, si riprendono i loro spazi e le proprie libertà: iniziano a divertirsi davanti agli obiettivi, sorridono e si fanno sempre più protagoniste e anzi fautrici del proprio destino e delle proprie scelte. Perdono quell’aura di lontananza e si impongono con le loro forme e i loro caratteri: più vicine che mai, più concrete, più reali, ma sempre bellissime. Sugli editoriali si affacciano anche le grandi modelle - Carla Bruni, Cindy Crawford, Linda Evangelista, Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Helena Christensen, Eva Herzigová - e gli obiettivi dei giganti assoluti della fotografia. Personaggi come Helmut Newton, Giampaolo Barbieri, Alfa Castaldi.
Nell’archivio Gallia e Peter una delle gemme più preziose di questi anni risale al 1989. Si tratta della rubrica di Vogue “D.P. Doppie Pagine di Anna Piaggi" che nel numero di febbraio si ispira al design delle celeberrime sedute di Thonet ed esplode la combinazione di genialità diverse, tutte connesse tra loro: quella creativa di Gianfranco Ferrè, quella artigianale di Gallia e Peter, quella fotografica di Arthur Elgort, quella narrativa dell’eccentrica giornalista e scrittrice Anna Piaggi, celebre per la sua penna acuta e sovversiva e per lo stile rigoroso con cui coglieva novità e interrogativi dietro le quinte delle passarelle. È lei (moglie, tra l’altro, del fotografo Alfa Castaldi) che prima tra tutti intuisce la potenza detonatrice del concetto di vintage, lo stesso che emerge nel fil rouge che in questa colonna, attraverso l’elemento paglia, collega ambiti creativi diversi. Seduzione, ironia, eccentricità sono le chiavi di volta degli anni Novanta, tra fascinosi décolleté e guardaroba ispirati ai vecchi film. È qui che le acconciature si fanno sculture e riscoprono una cura ammiccante che pareva archiviata. Una cura che troviamo anche nell’eccentrico look di Patty Pravo che, in total black, fa bella mostra di sé con un irresistibile colbacco di Marabù su Vogue nell’ottobre del 1994. Insomma, quelle stesse riviste che per le modiste di Mariuccia, Lia e Laura sono state fonte di ispirazione e spunti, sono diventate i luoghi dove i cappelli Gallia e Peter assurgono a leggenda. Vengono raccontati, mostrati, proposti come modelli cui ispirarsi e sono spesso accostati a pezzi di design. Si può ben dirlo. Quei cappelli, ora, fanno parte della storia. E continuano a far parlare di sé anche negli anni 2000. Come quando celebrano le collezioni Armani Privé nel 2005 o quando, nell’autunno del 2012, incoronano le modelle in tinte rosso fuoco vestite in pelle da Valentino - svettanti nel cuore del Bon Maché sulla Rive Gauche, a Parigi. O ancora quando nella primavera 2016 finiscono, di nuovo, sulla copertina di Vogue sposa grazie alla fotografia scattata da Katie McCurdy: la modella Meredith Mickelson, un abito in tulle nuvola con profondo scollo sia sul décolleté che sulla schiena, una gonna ampia nelle sfumature del rosa de “Le Spose di Giò”. Ballerine in raso ricamato Etro. Calze lavorate di Maria La Rosa. Acconciatura con piume Gallia e Peter. Praticamente perfetta, sotto tutti i punti di vista. Degna della cover di Vogue, senza alcun dubbio.